Il primo rapporto Censis,” Economia Verde e Transizione Ecologica” fotografa lo stato dell’arte della transizione verde nel Nostro Paese ed offre numerosi spunti di riflessione per cittadini ed imprese, circa le decisioni strategiche da assumere per non subire passivamente il cambio di paradigma in corso, ma divenirne parte, sfruttando le opportunità che quest’ultimo offre.
Viviamo un tempo di grandi trasformazioni, segnato dalla domanda, diffusa, di un modello di sviluppo più inclusivo sul piano sociale, più rispettoso dell’ambiente naturale, più orientato alla tutela del futuro delle prossime generazioni.
I dati pubblicati dal Censis mostrano come non solo la consapevolezza dei cittadini sulle grandi trasformazioni epocali sia in progressiva accelerazione ma lo sia anche la forza concreta dei processi locali di sviluppo. Segnale inequivocabile che la transizione è più avanti e più matura di quanto forse non si immaginasse.
I principali strumenti normativi impiegati per contrastare il cambiamento climatico e favorire la transizione ecologica, secondo il rapporto in narrativa, possono essere ricondotti a tre diversi livelli di aggregazione:
- Gli accordi stipulati a livello mondiale, che indicano la strada da seguire per il raggiungimento degli obiettivi desiderati. Nello specifico, il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi hanno definito i target effettivi in termini di emissioni di gas nocivi all’ambiente, mentre l’Agenda 2030 propone 17 obiettivi attraverso cui raggiungere il pieno sviluppo sostenibile;
- Le modalità di ricezione di queste indicazioni da parte dell’Unione Europea, che assume il ruolo di protagonista nel panorama mondiale e coordina l’operato degli Stati Membri. Quest’azione viene realizzata tramite l’indicazione di traguardi ambiziosi, quali il taglio del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e del 100% nel 2050, accompagnati da pacchetti di finanziamento come Next Generation EU e il Long Term Budget, per il periodo compreso tra il 2021 e il 2027;
- Lo stato di avanzamento della Transizione Ecologica in Italia, più attrezzata in ambito di economia circolare e implementazione di fonti di energia rinnovabile, meno nella costruzione di infrastrutture per la mobilità elettrica, emissioni derivanti da trasporti ed efficientamento degli edifici pubblici e privati. A riguardo, i fondi stanziati dalla Commissione Europea, e resi operativi attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), rappresentano un’opportunità cruciale per realizzare la transizione ecologica.
I vari provvedimenti delineano un panorama normativo che incoraggi lo sviluppo sostenibile, individuato come obiettivo generale da raggiungere nel contesto della lotta al cambiamento climatico.
La leadership europea nella transizione ecologica
Nella lotta al cambiamento climatico, l’Unione Europea si pone come il più efficace interprete dei trattati internazionali. Al centro delle strategie UE, il forte investimento nella protezione dell’ambiente da parte delle istituzioni di Bruxelles traccia la strada da percorrere e fornisce strumenti funzionali alla riuscita del progetto.
L’Italia è parte attiva della transizione a livello europeo, avendo recepito i dispositivi dell’UE attraverso il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) e il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR).
IL SISTEMA FINANZIARIO E LA SCOMMESSA SUGLI INVESTIMENTI GREEN
La redditività e la rischiosità delle attività aziendali rappresentano i driver del mercato del capitale, ma negli ultimi anni, l’importanza di questi due indicatori sta mutando, lasciando spazio alla “sostenibilità aziendale”, che ha guadagnato importanza nella maggior parte dei settori di attività economica. Il nuovo paradigma finanziario, recepisce come meno rischiosi gli investimenti in aziende che adottando gli standard ESG, sono più sostenibili.
Questo concetto esprime quanto le attività dell’aziende siano sostenibili, non solo da un punto di vista economico, ma anche ambientale e sociale, e rappresenta un elemento sempre più rilevante nelle decisioni di investimento.
I fattori ESG, quindi, stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante negli investimenti globali, spinti da una maggiore consapevolezza riguardo ai temi ambientali e sociali.
Questo viene dimostrato dal valore crescente nelle borse degli ETF ESG e dalla diffusione di portafogli di investimento legati a soluzioni di sostenibilità.
I FATTORI ESG SPINGONO LA TRANSIZIONE
Come rilevato dal report dell’ESG European Institute, l’importanza dei fattori ESG ha reso necessaria l’integrazione di indicatori ad essi connessi nelle procedure di rendicontazione aziendale:
- Nell’ambito Environment vengono presi in considerazione indicatori che hanno a che fare con l’inquinamento e i rifiuti, il cambiamento climatico, i processi di urbanizzazione, la scarsità di risorse.
- Nella sfera sociale assumono rilevanza aspetti come la tutela dei diritti umani, le condizioni di lavoro, le pari opportunità, la sicurezza dei dati.
- Sul piano della Governance aziendale si guarda invece ad elementi come l’indipendenza del Consiglio, le retribuzioni dei manager, le politiche fiscali o, ancora, gli aspetti etici delle attività realizzate dalle aziende.
Alcuni di questi aspetti, però, risultano difficili da inquadrare all’interno di misure quantitative (si pensi soprattutto ai fattori sociali), e richiedono il ricorso a strumenti di natura qualitativa, capaci di descriverne l’impatto.
La misurazione della performance di sostenibilità aziendale è necessaria per quattro motivi:
- Previene da possibili pratiche di greenwashing;
- Garantisce un processo di valutazione oggettivo.;
- Migliora la divulgazione delle informazioni relative alla performance ambientale e sociale nei confronti degli stakeholders che vengono influenzati da queste;
- Consente la mappatura dei rischi legati all’impatto non finanziario delle attività aziendali.
Soprattutto l’ultimo punto ha grande rilevanza nel mercato del capitale, in quanto consente di collegare il rischio ambientale, sociale e di governance a quello aziendale, incidendo sul valore degli asset.
Il rischio esogeno rispetto alle attività delle imprese maggiormente considerato dagli investitori è rappresentato dal cambiamento climatico. Il posizionamento strategico delle aziende, sia in nei confronti dell’esposizione al rischio, sia per quanto riguarda i provvedimenti adottati per arginarlo, prevede l’adattamento dei modelli di business alle più recenti normative ed è valutata accuratamente in sede di investimento.
Il rischio climatico è composto dal pericolo fisico definito come l’impatto del surriscaldamento globale sugli asset aziendali, dal danno reputazionale derivante da determinate azioni o dalla mancanza di esse, e dal rischio di transizione, che riguarda le possibili perdite finanziarie connesse all’adeguamento del business alla gestione sostenibile.
Le valutazioni in questi ambiti hanno portato a una rinnovata considerazione delle azioni non finanziarie delle aziende, che rientrano all’interno della generazione di valore di lungo periodo, e che hanno dato origine al “Triple bottom line investing” (reporting raccomandato dalla Commissione europea per informare annualmente gli azionisti sulle misure adottate per bilanciare protezione ambientale, responsabilità sociale e prosperità economica). Questa pratica prevede l’esclusione dalle decisioni di investimento delle aziende che non attuano provvedimenti di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Da qui nasce l’ESG investing, che aggiunge a questi principi il focus sulla governance aziendale nella valutazione della crescita delle imprese.
Come evidenziato dai dati BlackRock, gli asset gestiti secondo criteri di sostenibilità stanno crescendo sul mercato dei capitali. Il fenomeno si manifesta sia a livello mondiale, dove le soluzioni ESG hanno toccato nel 2021 i 607 miliardi di dollari, sia per quanto riguarda l’Italia, dove è stato registrato un aumento di 69,2 miliardi di euro negli investimenti ESG e una riduzione di 20,4 miliardi di euro negli investimenti non ESG.
Il Rapporto Censis, mostra, quindi, inequivocabilmente, numeri alla mano, l’opportunità prima ancora dell’obbligo, per le imprese italiane di adeguare il proprio modello di business, orientandolo ad una economicità sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e della governace.
Le aziende che riusciranno ad adattarsi meglio al nuovo paradigma, avranno benefici, tanto dal punto di vista reputazionale, quanto della performance nel medio/lungo periodo e saranno più appetibili tanto per gli investitori, quanto per i potenziali clienti, sempre più sensibili al tema della sostenibilità.
Dott. Roberto Macheda